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Il ruolo della chelazione nel trattamento dell’avvelenamento da metalli


È stato esaminato il ruolo della chelazione di cinque metalli, Alluminio, Cadmio, Cromo, Cobalto e Uranio.
Il processo di chelazione può spesso essere semplificato, causando danni al paziente.

Affinchè la chelazione sia efficace, devono essere soddisfatti due presupposti fondamentali: la presunta tossicità dei metalli deve essere correlata con un carico di metallo in un dato corpo o un particolare settore; ridurre questo carico corporeo o compartimentale tramite chelazione attenua la tossicità.

Realizzare questi presupposti richiede un rapporto consolidato dose-risposta, mezzi convalidati e riproducibili di valutazione della tossicità ( clinici, biochimici, o radiografici ) e opportuni meccanismi di valutazione del carico corporeo o della zona corporea.

Sebbene un metallo possa tecnicamente essere chelato ( ed è facilmente dimostrabile in urina o feci ), questo rappresenta un obiettivo insufficiente, perché deve essere affermata la rilevanza clinica.

La Deferoxamina ( Desferal ) è un chelante accettato per la tossicità da Alluminio opportunamente documentata.

Esiste una finestra di trattamento molto ristretta per la chelazione del Cadmio. Nella tossicità acuta sono stati considerati Acido dimercaptosuccinico ( DMSA ), Acido dietilen-triamino-pentacetico ( DTPA ) e potenzialmente l'Acido etilen-diammino-tetracetico ( EDTA ).
Nella tossicità cronica, la chelazione non è raccomandata.
Ci sono poche prove a sostegno della efficacia dei chelanti del Cromo attualmente disponibili.

Allo stesso modo, esistono poche prove negli esseri umani per poter raccomandare la chelazione del Cobalto.
Il DTPA è stato raccomandato per la chelazione del radionuclide del Cobalto, sebbene siano stati indicati DMSA, EDTA e N-Acetilcisteina ( NAC; Acetilcisteina ).

Il DTPA non è consigliato per la chelazione dell’Uranio.
Il Bicarbonato di sodio è attualmente raccomandato, anche se la prove in modelli animali sono contrastanti. ( Xagena2013 )

Smith SW, J Med Toxicol 2013; 9: 4: 355-369

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